martedì 27 ottobre 2015

Una sperimentazione non finalizzata

Ho iniziato a fare laboratori appena terminato il mio corso di studi di Illustrazione.
Incoraggiata da una mia ex insegnate ho steso un progetto che ho mandato all’ufficio Infanzia del comune della mia città.
Poco dopo, con mia grande sorpresa e insieme con una piccola schiera di aspiranti al posto di “esperto di laboratori”, sono stata convocata in quell’ufficio: potevamo presentare un progetto che sarebbe stato oggetto di selezione. I selezionati avrebbero fatto parte del libro delle proposte che il Comune distribuiva ad ogni Scuola d’Infanzia della città. Gli insegnanti avrebbero poi operato un’ulteriore selezione, scegliendo l’esperienza che preferivano.
Qualche mese dopo ecco un’altra grande sorpresa: avevo passato tutte le selezioni e ben tre asili mi avevano chiamata!

Quello che mi interessava era appassionare i bambini al libro certa che, se si fossero innamorati di un libro da piccoli, avrebbero coltivato per sempre questa passione.
Ho scelto con cura una serie di libri: ad ogni incontro venivano presentati e letti più volte.
Poi si giocava con la storia, con i suoi personaggi, e i bambini disegnavano ciò che ricordavano, ciò che era piaciuto loro, attuando così piccole riflessioni.  
Ogni volta ho cambiato la tecnica con cui disegnare: pennarelli, matite colorate, acquerelli, collage, tempere.
Al termine del ciclo di laboratori i disegni sono stati montati su un leporello contenuto all’interno di una scatola da scarpe, decorata dai bambini con un’altra tecnica artistica.


Maestre e bambini si erano divertiti, avevano letto dei libri, avevano provato tecniche nuove. Era venuto un bellissimo prodotto. I disegni dei bambini, sempre bellissimi, montati in questa scatola decorata da loro, ognuna diversa, avevano un impatto grafico molto forte e lasciavano la soddisfazione dell’avere un bell’oggetto da portare a casa e da mostrare.


Qualche anno dopo è partito il mio progetto del laboratorio privato. Ho incominciato con quello che sapevo fare, riproponendo il progetto del libro.  
Questa volta non era più una scatola, c’era un tema (il Natale) ma il principio restava lo stesso: si leggevano dei libri e si disegnava cambiando ogni volta la tecnica.
Alla fine i disegni erano stati montati su un librone per ciascun bambino.
Il prodotto finale, anche in questo caso, era ineccepibile. I bambini si erano divertiti moltissimo, le mamme erano contente di avere una cosa così bella fra le mani.


Per Carnevale di quell’anno ho svolto altri laboratori a tema. Qualcosa in me stava cambiando: iniziavo a capire l’importanza della sperimentazione ma ancora una volta i bambini sono andati a casa con un bellissimo prodotto.  


Intendiamoci: è chiaro, dal tono in cui vi scrivo, che sto in qualche modo banalizzando, con la spietata autocritica che mi pervade, quelle prime esperienze. In realtà non erano così insignificanti e mediocri: ancora oggi le trovo allineate con la maggior parte delle cose che vedo in giro.

Qualcosa, personalmente, non mi tornava. Cosa? E perché?
Quante volte avevo detto loro come fare? Quante volte avevo imposto, seppur in modo affettuoso, giocoso, didattico, propedeutico, me stessa?
Cosa avevo dato ai bambini? L’idea del libro era buona, ma la parte di creatività era una via di mezzo tra un abbandono alla libertà del loro sempre bellissimo universo colorato, manifestato secondo indicazioni più o meno precise, e un avviamento al disegno o alla pittura.
Nei miei laboratori cosa avevano imparato?
Cosa volevo dare ai bambini?

La formazione Metodo Bruno Munari® è arrivata per rispondere a molte delle domande che mi stavo facendo.
Uno degli elementi importanti che caratterizza il Metodo è che ogni laboratorio è una sperimentazione non finalizzata.
Una sperimentazione non finalizzata significa che più che il prodotto finale importa il processo. Una sperimentazione non finalizzata parte da quello che il bambino sa e rispetta la sua individualità; non c’è un prodotto da assemblare e da completare, in nessuna delle sue declinazioni: né il disegno, né il lavoretto, né l’oggetto bello, né il manufatto artistico.
C’è osservazione attiva e critica, conoscenza, sperimentazione più pura, ricerca di variabili.
C’è un bambino che sperimenta, fa, gioca, scopre, c’è un bambino che fa un’esperienza sua e la vive intensamente.



Solo questo processo può permettere la realizzazione di qualcosa che è sicuramente giusto, sicuramente bello. Bruno Munari ci dice: «la sperimentazione non deve essere finalizzata, caso mai si finalizzeranno i risultati». Solo dopo aver scoperto il segno questo può diventare un disegno. Ma questa è un’altra storia, che vi racconterò un’altra volta.

Per oggi mi piace salutarvi con l’immagine di qualcuno – un bambino, un adulto- che fa di un’esperienza, un’esperienza propria: non è forse questo uno degli auguri migliori che si possa fare per tutta una vita?